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Assemblea Federagenti – L’Italia stringe i tempi per affrontare la sfida dei cambiamenti nello shipping

Del 20 Giugno 2014

Non solo container, l’Italia dei porti ha certo bisogno urgente di riforme, ma ha anche e specialmente bisogno di ripensare le sue funzioni in un mercato internazionale dei trasporti via mare che è caratterizzato da forti elementi di fragilità finanziaria, e che talora richiede agli scali marittimi e ai sistemi logistici investimenti infrastrutturali che spesso non sono in grado di affrontare. E’ questa una delle indicazioni scaturite oggi a Trieste dall’assemblea di Federagenti, la Federazione degli agenti marittimi, che ha affrontato le problematiche del settore presentando anche una ricerca, messa a punto dal professor Sergio Bologna, sulle criticità di un settore caratterizzato da un ingresso massiccio di fondi di private equità, americani e asiatici, che stanno subentrando a molte banche come “partner” finanziari delle compagnie di navigazione.

“In questo scenario, che è il riflesso di una situazione economica e sociale complessa e fragile a livello mondiale – ha sottolineato Pappalardo – l’industria marittima in Italia continua a confermare caratteristiche di eccezionale vitalità, procedendo in controtendenza anche in questi anni di crisi, generando occupazione, ricchezza e migliorando costantemente i suoi standard qualitativi. Proprio in questa ottica – ha affermato il presidente di Federagenti – la contraddizione fra struttura operativa della filiera marittima e una politica che continua a condannarla in una sorta di limbo senza tempo, rinviando sine die il momento di affrontare le grandi problematiche di sviluppo ma anche di sopravvivenza del settore portuale e ha rimarcato come ogni progetto di riforma portuale, da vent’anni a questa parte, sembri essere più un aggiustamento del passato che una proiezione nel futuro”.

E due risposte sono arrivate dal presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani che, intervenendo all’assemblea, ha annunciato la scelta di fondo di varare in tempi brevi un provvedimento che individui 14 porti strategici, che, parallelamente, affidi a un piano strategico nazionale, il compito di guidare una razionale politica di investimenti e di scelte di governance. “E’ necessario – ha affermato Debora Serracchiani che è anche responsabile trasporti del PD – non solo ripensare l’autonomia finanziaria delle Autorità portuali strategiche, ma anche ottenerla superando anche le resistenze del ministero dell’Economia”.

Debora Serracchiani ha anche annunciato per il semestre europeo la presentazione della proposta italiana per escludere dal patto di stabilità i grandi investimenti per la crescita, ivi compresi quelli nelle grandi infrastrutture di trasporto e nei porti.

In un messaggio, letto dal presidente Pappalardo, il ministro Maurizio Lupi,  ha confermato l’intenzione del governo “di ridisegnare una funzione strategica di pianificazione del sistema portuale”, rompere una visione “autosufficiente” e separata dei porti di cui va snellito “il carico burocratico”.

“Trasformazioni necessarie visto che i cambiamenti del settore – ha sottolineato Pappalardo – sono così traumatici da prospettare per normale una situazione sostanzialmente differente da quella attuale caratterizzata da cambiamenti tanto profondi quanto profonda è la fragilità della ripresa economica e della filiera nel suo insieme”.

Il 2014 ha già registrato l’entrata in servizio sulle rotte da e per il Far East di 14 nuove navi da oltre 10.000 teu di portata e altre 47 scenderanno in campo entro fine anno. Nel 2013 complessivamente erano state consegnate 34 Ultra large containerships e 51 nel 2012. Quest’anno è già stata schierata, considerando anche le navi di 8000 teu, una potenza di fuoco di 339.329 teu.

“Con una geografia dei traffici ad assetto variabile, con equilibri delicati della globalizzazione e con fenomeni di concentrazione nel trasporto marittimo che comunque minacciano di determinare il successo o il declino di importanti aree geografiche e produttive – ha affermato Pappalardo – sta anche abbattendo i miti in cui ci siamo cullati per decenni”.

Ad esempio – come evidenzia lo studio del professor Bologna – quello dei porti del Nord Europa. L’ entrate in servizio nel settore dei container delle navi giganti da 16.000 e 18.000 Teu che nel Northern Range possono essere ospitate da Le Havre, Rotterdam, Anversa e Bremerhaven, ma non da Amburgo, sta mandando in crisi i cicli operativi dei grandi terminal e dell’intera filiera logistica. Non solo: ha innescato una spirale di sconti, minando i margini di redditività dei porti.

In Nord Europa si registra poi un eccesso di offerta di infrastrutture portuali determinato, oltre che dalle attese prodotte dal gigantismo navale, da previsioni di traffico troppo ottimistiche. Il porto di Amburgo sino all’altro ieri si muoveva con un orizzonte 2025 di 25 milioni di Teu, a gennaio ha presentato uno studio nel quale tale previsione era ridimensionata non poco: 15 milioni di Teu, un taglio del 40%.

Ma a preoccupare – come emerge dall’analisi presentata durante l’assemblea di Federagenti – è la fragilità finanziaria del settore e il rischio di una gigantesca bolla alimentata dalla progressiva perdita di ruolo delle grandi banche nord europee che da sempre hanno finanziato l’investimento in nuove navi, nello sviluppo rapidissimo delle flotte e dall’affermarsi di nuovi investitori speculativi, come i fondi di private equity, di fatto oggi (in virtù di un processo di riacquisto dei debiti e di conversione degli stessi in azioni) proprietari di una larga fetta dello shipping mondiale. Si calcola che le istituzioni finanziarie siano esposte nel settore per oltre 475 miliardi di dollari e che, mentre gli equity fund americani e asiatici continuano a ordinare nuove navi puntando sui prezzi bassi delle stesse, solo nei prossimi due anni le banche dovranno rifinanziare 35 mld di euro di prestiti, 80% dei quali a carico di banche europee.

Nel settore, con gli istituti di credito europei in ritirata, emergono soggetti come la DBS di Singapore, la Overseas Chinese Banking Corp, la Maybank malese, ma anche le istituzioni cinesi, la China Development Bank, l’Industrial and Commercial Bank of China, il China Merchants Bank Leasing, e le agenzie di credito alle esportazioni, cinesi e coreane. Sul fronte dei paesi del Golfo, Qatar National Bank, Arab Banking Corp ed altre, magari sotto la regia di Deutsche Bank, offrono un supporto finanziario alle compagnie marittime locali, come UASC. E per completare il quadro va ricordato che il private equity ha pompato 13mld di dollari nello shipping nel 2013, a fronte di quasi zero nel 2007.

Il tutto a fronte di noli che sono rimasti depressi, anche se si prevede un leggero miglioramento nel corso del 2014, e di una struttura di governance delle grandi compagnie a dir poco anomala. Basti pensare che tutti i tre soci della P3 (l’alleanza fra Maersk, Msc e CMa-Cgm bocciata in queste ore dalle autorità cinesi anti trust) sono aziende familiari, alla lunga difficilmente compatibili con la struttura di governance e con la trasmissione di know how di un’azienda di dimensioni mondiali.