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ECONOMIA DEL MARE E GREEN DEAL

Economia del Mare e Green Deal : L'economia del Mare e la sostenibilità ambientale dal rapporto Unioncamere - Anpal

Del 10 Ottobre 2021

L’Economia del mare e la sostenibilità ambientale.

La Blue Economy rappresenta un’evoluzione della Green Economy e nasce per ottenere risultati più soddisfacenti dal punto di vista ambientale. Dalla tutela degli ambienti si passa al concetto di rigenerazione degli ecosistemi e dalla eco-efficienza si passa alla biomimesi1. Come nel caso della Green Economy,anche nell’Economia del mare la sostenibilità rappresenta un tema centrale e rinvia all’idea di mantenimento e di conservazione nel tempo, e soprattutto nel lungo periodo, delle condizioni esistenti e della capacità di garantire un supporto, un sostentamento, senza produrre degrado. Inoltre, l’economia blu punta anche alla “crescita blu”, e cioè mira a favorire l’occupazione nell’economia marina e marittima e l’espansione economica anche in altri settori, come lo sviluppo di tecnologie offshore per l’energia rinnovabile, la promozione dell’acquacoltura e il sostegno alla ricerca nel settore delle biotecnologie blu. Il tutto grazie alle innovazioni tecnologiche oggi disponibili e soprattutto alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia. Tra le industrie “tradizionalmente blu” figurano le attività portuali e di stoccaggio, le costruzioni navali, i trasporti marittimi, ma anche le attività estrattive di petrolio e gas. Insomma, settori che, dati alla mano, solo in Europa rappresentano il 40% degli scambi commerciali e quasi il 90% del commercio estero attraverso il trasporto via mare2.

Visto l’enorme potenziale di questo settore economico, la Commissione europea vorrebbe destinare 6,14 miliardi di euro nel bilancio UE 2021-2027 a un Fondo che consentirà di investire in nuovi mercati, tecnologie e servizi marittimi, come l’energia oceanica e la biotecnologia marina, mirando a:

  •  potenziare l’offerta di posti di lavoro ad alto valore (passando da circa 5,5 milioni ai 7 milioni attesi per il 20203);
  •  ridurre le emissioni di carbonio;
  •  rivitalizzare i settori tradizionali dell’economia e individuare i nuovi settori emergenti;
  •  assicurare che gli ecosistemi marini rimangano sani e salvaguardati. .

L’economia odierna è basata su un modello di sviluppo economico di tipo “meccanicistico”, nato con la
rivoluzione industriale, che vede il mondo come una “macchina”, che produce, usa e getta. Ma la situazione
è chiara: l’equilibrio ambientale terrestre è compromesso, lo sfruttamento del territorio e del sottosuolo ha
messo a rischio l’ambiente e gli ecosistemi, causando calamità e disastri naturali.
Tutti sentiamo la necessità di una rivoluzione industriale sostenibile, che vede il mondo come “rete” e
dunque come un sistema in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, siano
organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino le risorse di qualcun altro. Un modello economico
finalmente evoluto e basato su durabilità, rinnovabilità e riutilizzo. L’economia circolare rientra negli United
Nations Sustainable Development Goals, cioè gli obiettivi di sviluppo che le Nazioni Unite si sono date già
nel 2015 come guida per uno sviluppo sostenibile dell’economia globale. Obiettivi che, secondo le Nazioni
Unite, saranno indispensabili per far fronte all’impatto dei 3 miliardi di nuovi consumatori che nel 2030 si
affacceranno sui mercati.
L’Italia, con i suoi 8.670 chilometri di coste, è al primo posto tra i Paesi del Mediterraneo per numero di
servizi ambientali forniti dal mare, biodiversità, qualità del paesaggio, depurazione naturale dell’acqua e
mantenimento della salute delle coste. In un confronto diretto con i maggiori Paesi dell’UE (Germania,
Spagna, Francia e Regno Unito), l’Italia è la terza più grande economia blu d’Europa e leader per il tasso di
produttività nell’uso delle risorse marittime.

A testimoniare l’ottimo andamento della Blue Economy è la Commissione europea, che nell’ultimo rapporto annuale spiega come nel 2018 questo settore abbia rappresentato l’1,5% del Pil della Ue, con un fatturato di circa 600 miliardi di euro, in crescita del 15% rispetto al 2009. Il settore ha generato 175 miliardi di euro di valore aggiunto e creato 3,5 milioni di posti di lavoro (pari all’1,6% dell’occupazione totale nella Ue). L’economia blu, quindi, ha dimostrato non solo di saper crescere velocemente ma anche di saper resistere efficacemente alla crisi finanziaria, attenuando in parte gli effetti della recessione sulle economie costiere. Non a caso, Italia, Regno Unito, Spagna, Francia e Grecia sono le cinque più grandi economie blu d’Europa. Sono soprattutto i giovani imprenditori a voler scommettere su questo nuovo modello economico: alla fine del 2018 circa il 10% delle imprese della Blue Economy (circa 20mila in totale) sono nate da un’iniziativa intrapresa da giovani principalmente del Centro e Sud Italia.

Questo nuovo modello di sviluppo economico sostenibile può realmente fornire un importante contributo alla crescita socio-economica del Mezzogiorno e del Paese; la sfida è quella di riuscire a puntare efficientemente su un settore che ha tutte le carte in regola per contribuire più che positivamente all’occupazione giovanile e all’economia dell’Italia. Iniziando a comprendere che il mare non è solo turismo ma una grande opportunità per le generazioni e i territori nel prossimo futuro.

Fonte: Unioncamere – ANPAL Sistema Informativo Excelsior.