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Quel ‘mare senza blu’ di Francesco Paolo Oreste

Il nuovo libro di Oreste: storie, intrecci, maschere, vicoli di Napoli, Nisida e un mare che per certi bambini è sempre troppo spesso senza luce

Del 30 Marzo 2024

di Angela Iantosca

I vicoli di Napoli, l’odore della genovese che in certe case è una fede, e della parmigiana più buona di Napoli e provincia. E poi la sofferenza, la fatica, le inquietudini, l’ingiustizia e quella lotta che spesso si riduce ad uno scontro tra poveri e disperati.

Con “In un mare senza blu” (EnigMi) Francesco Paolo Oreste ci fa entrare, ancora una volta, nella ferita di quelle stradine spesso in ombra, tra l’indicibile, nelle storie che nessuno vuole guardare veramente, in una redenzione a volte impossibile o che, se accade, è frutto sempre di qualcosa che prima è stato contaminato, contagiato.

Ci sono colpe e pene. Omertà e ancora pene nel nuovo libro di Oreste che con la sua penna dà voce a ciò che il mestiere di poliziotto gli fa incontrare ogni giorno.

E allora nelle pagine del suo romanzo c’è la bassezza umana che si accanisce laddove la speranza non riesce a illuminare i vicoli fetidi, con alcune finestre sempre chiuse per proteggere bellezze inutili, sterili, usate e abbandonate.

Ma mentre si sente questo puzzo che è una cappa, si fa largo tra le parole e quelle strade un senso di compassione e amore, di giustizia, di verità e profondità inarrivabile altrove. In altri vicoli, in altre città. E allora le facce e le meze facce protagoniste di questo splendido romanzo ti si ficcano dentro come spilli che non smettono mai di pungere. Perché ora lo sai che ci sono Ciro, Michele e Mario. Che sono tre ma sono un uno. Perché in certi vicoli l’amicizia e l’amore sono tutto. E forse con qualcuno hai la speranza di essere te stesso, di toglierti la maschera e di non dover fingere. E di poter vedere un mare blu cobalto.

Come nasce questo romanzo pubblicato a marzo 2024?

“Ho scritto questo libro perché volevo dare al lettore un’emozione che fosse capace di far vivere la storia con una partecipazione emotiva.

Tutte le mie storie hanno a che fare con il mio lavoro che occupa una parte preponderante della mia vita. Passo tante ore a vivere lavorando e sono ore durante le quali incrocio tante storie che in un modo o nell’altro impongono di restare nei miei pensieri. Sono storie forti come forte è la disperazione, la difficoltà di resistere. Molte volte mi accorgo che sono storie caratterizzate dall’ingiustizia della solitudine, del buio in cui vengono relegate. Sono storie di persone che vivono ai margini e che non si vogliono conoscere. Anzi, sono vicende che ci mettono anche in imbarazzo rispetto alle nostre responsabilità. Io rappresento le Istituzioni e a volte mi trovo ad intervenire nel momento finale di queste parabole esistenziali, quando il limite consentito dalla giustizia viene superata, mentre il dovere nostro dovrebbe essere quello di accompagnare queste esistenze soprattutto nei momenti più difficili, quando ci sarebbe bisogno di sostegno economico, psicologico, per rendere anche più dignitoso il quartiere”.

francesco paolo oreste artisti e mare

Il libro ha come protagonisti tre amici. Uno dei quali vivrà una trasformazione interiore molto profonda – o semplicemente darà voce a ciò che già c’era, ma che non riusciva a trovare la sua strada – e diventa “Santa” (non spoilero altro). Nel tuo lavoro in quei vicoli quanti Santi incontri?

“Piccoli Santi li incontro spesso per i vicoli di Napoli. Laddove sopravvive il senso di giustizia, sopravvive anche la voglia di redenzione. Allora talvolta i mostri o comunque le persone che si rendono artefici di atti orribili, se lungo il percorso esistenziale è stato piantato il seme della giustizia, provano a redimersi a riequilibrare questa bilancia del Karma. Sono persone che provano a riscattarsi dal passato tentando di fare qualcosa in più, anche solo dando un lavoro a chi – esaminando semplicemente il curriculum criminale – non lo meriterebbe. Mi è capitato di trovare persone con un passato difficile che sono ripartite dall’occasione di dare una possibilità a qualcuno. Ovviamente nella storia della Santa del libro, Ciro, convergono le vite di più persone che ho conosciuto”.

A volte, lo si deduce dal tuo racconto ma anche da ciò che accade nel reale, si nota una maggiore consapevolezza dell’errore commesso tra gli strati più bassi della società, piuttosto che tra chi indossa la maschera della persona perbene, del professore (in riferimento ad un personaggio del romanzo). È così?

“È una considerazione che ho fatto grazie al mio lavoro. Le indagini nel mondo dei colletti bianchi, di chi normalmente viene indicata come persona perbene, mette in evidenza proprio questo: mentre per reati più gravi il criminale una volta colto con le mani nel sacco è più “onesto” nell’ammissione della colpa – e non parlo di colpa giudiziale –, nel senso che a me investigatore non dirà, se lo trovo con la cocaina in casa, “non è mia” – lo dirà in tribunale, dove cercherà di risultare pulito per evitare la pena – lo stesso non accade con i colletti bianchi. Nei primi c’è una ‘onestà’ criminale che negli altri non ravviso, in questi c’è come la necessità – che forse è verso se stessi -, di negare la responsabilità morale delle loro azioni. Quando ci capita di imbatterci in un abuso d’ufficio, in reati in cui viene distorta la funzione che sono chiamati a svolgere, di solito si rifugiano nel “così fan tutti”, nella necessità di far girare il sistema così, auto-assolvendosi”.

francesco paolo oreste
Una delle presentazioni del libro di Francesco Paolo Oreste

Di che colore è il mare di questi bambini?

“Il blu ha bisogno della luce, come tutti i colori, per essere tale. Il mare non ha coloro. È blu se il cielo è blu, è grigio se il cielo è grigio. Nelle esistenze di questi ragazzi c’è così poca luce che persino il mare di Napoli è acqua salata che non si può bere e non si può toccare. E la funzione consolatrice e di speranza si perde. Nelle loro vite, il mare, come in generale la bellezza di Napoli diventa inutile cornice”.

E per te il mare di Napoli?

“Ho un rapporto contrastato. Ho sempre cercato il mare. L’ho trovato anche altrove, ma quando il sole muore al mare ti lascia con il mare, quando sorge al mare, con il tramonto non sei al mare. Per me è sempre stato un compagno di viaggio. Una bussola. Io ho sempre guardato al mare come una possibilità, come il blu in cui dissolvere ansie e preoccupazioni, punto di arrivo e partenza. L’ho sempre utilizzato per rasserenarmi. È luogo dell’anima. Quello di Napoli mi fa dannare perché spesso è una enorme bugia. È blu, fantastico, riflettente, però poi abbiamo tratti di costa non balneabili, abbiamo città che avrebbero un incredibile potenziale che invece vedono lo scolo di reti fognarie incontrollate, depuratori che vengono installati, costruiti, inaugurati e non attivati… Il mare a Napoli rappresenta tutto ciò che potrebbe essere e che non è. È una città spesso abbagliante: da vicino scopri i mille peccati di cui si macchiano i loro abitanti”.

Che riscontro sta avendo questo tuo nuovo romanzo?

“Sta andando molto bene in provincia e qui in città. Ma mi piace che questo libro abbia cominciato il suo viaggio a Treviso e che abbia creduto in questa storia una casa editrice di Milano. Il linguaggio delle emozioni è internazionale. E non legato solo ad una città. E allora questo romanzo diventa anche la mia personale missione: portare luce in queste storie. E se i mille Michele che incontro con il mio lavoro riesco a portarli in giro per l’Italia, facendo precedere la conoscenza al giudizio, il giudizio poi sarà più giusto”.

francesco paolo oreste