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Assemblea Federagenti: l’intervento di Ivano Russo

Del 1 Dicembre 2016

Riportiamo un estratto dell’intervento conclusivo di Ivano Russo, Dirigente del Gabinetto del Ministro Infrastrutture e Trasporti Delrio, all’Assemblea annuale di Federagenti:

“L’Italia dovrebbe avere prima di tutto l’aggettivo nazionale.

Se mancano due requisiti fondamentali e cioè una funzione vera coordinata di governo centrale e una coesione del sistema economico territoriale è inutile parlare di esperimenti di crescita.

L’Italia ha una storia del sistema economico che è esattamente montata all’opposto rispetto a ciò che serve per competere nel mondo. Questa cosa ci deve essere chiara perché ci dice tanto delle condizioni dell’oggi ma soprattutto perché ci aiuta a capire cosa e come cambiare.

Oggi è impossibile ragionare di portualità scoordinata dalla logistica, dalle infrastrutture, dal rapporto con le imprese. 

Ma la storia della portualità italiana non è questo. E’ inutile parlare di northern range, quelli sono altri modelli. Si tratta di porti concepiti, nati e sviluppati come anello strumentale alla catena del valore legata alla rivoluzione industriale e al settore manifatturiero dei paesi del nord europa. Non potendo competere sul costo delle materie prime e avendo livellato il costo del lavoro con le battaglie operaie, l’unico elemento vero di competitività tra le imprese erano i costi dei trasporti. Quei porti nascono così. 

I porti dell’Italia sono invece i porti della borghesia mediterranea commerciale, sono luoghi di smercio, di intermediazione, di compravendita della merce, storicamente determinatasi con una ricchezza fatta sul dazio. In questo modello non c’era spazio per la logistica. 

Le aziende che ancora oggi operano nel settore sono eredi di una cultura economica che è questa.

Aggiungete a questo a un altro tema devastante e cioè che l’Italia diventa stato unitario con tre secoli di ritardo rispetto alla società moderna descritta da Hobbes. Il livello di esasperazione che ho trovato girando l’Italia tra porti a 20 km di distanza è frutto anche di questa storia.

Dall’altra parte abbiamo porti nazione (Rotterdam, Amburgo, Anversa, … ) e di fronte a questi o competi come Nazione Porto (avendo 57 porti di rilevanza nazionale e 8.000 km di costa) e come unico sistema oppure è finita per tutti. 

Ma dove si va con questo portato organizzativo-storico-economico-imprenditoriale e di politica assente.

Aggiungo un terzo dato: questo è un Paese che troppo spesso si innamora di slogan. L’Italia non è una piattaforma logistica, è l’esatto contrario. E’ tagliata in due dall’Appennino, a nord dalle Alpi ed è circondata dal mare. L’Italia è l’esatto opposto dal punto di vista orografico di una piattaforma logistica, che è uno spazio piano dove si interagisce facilmente. Noi abbiamo invece una serie di complicazioni pesanti dal punto di vista naturale, il che ovviamente non significa che non si possa esserlo o diventarlo ma che si deve attrezzare un sistema di servizi infrastrutturali importanti.

Il nostro è un Paese complicato, che parte con queste tre caratteristiche che lo mettono strutturalmente in controtendenza rispetto a ciò che serve per competere con il resto del mondo.

Su questa analisi si fonda il Piano Nazionale Strategico della Portualità e della Logistica.

Più noi trasformiamo i porti in un sistema nazionale e in un hub di una filiera logistica molto più lunga che parte in mezzo al mare con il pre-clearing e finisce a destino passando in mezzo per l’ultimo miglio ferroviario, stradale, per la digitalizzazione della catena logistica e che costruisce un meccanismo di interscambio vero con interporti veri che mette dentro il sistema privato e parla con le imprese e più possiamo crescere.

O noi ricostruiamo questa dinamica con al centro i porti, e questa è stata secondo me la grande intuizione di fondo di Delrio, che il perno del sistema trasportistico e infrastrutturale italiano sono i porti, oppure non andiamo da nessuna parte. Ecco perché miriamo a costruire un hub con i porti e il tema dei corridoi e delle reti ten li sviluppiamo sulla base degli allacciamenti ferroviari e il programma RFI ultimo miglio ferroviario è una priorità.

I porti non sono più i porti empori di un tempo, però per noi non ha più senso di esistere porti sostanzialmente autoreferenti, scollegati tra loro, poco interagenti con le altre infrastrutture e rispetto al sistema industriale, strutturalmente aperti verso il mondo, il mare e i traffici, ma completamente indietro rispetto al retroterra portuale.

Negli ultimi 10/15 anni è successa una cosa semplice, che ci siamo molto trastullati sulla sfida tra alcuni porti italiani e i porti del nord europa. E’ una fesseria enorme. Forse può competere il sistema Paese con quei porti, di certo non singolarmente. Non è una partita alla portata. 

E comunque mentre perdevamo questa partita approcciata male, abbiamo anche perso quella da Sud Est.

La competizione dal nord ci ha tagliato le gambe sulla funzione gateway più tradizionale, quella da sud sul transhipment.

L’unico settore che è rimasto in piedi è quello delle crociere perché l’unico non delocalizzabile in alcun modo. Non è un caso che sia questo l’unico pezzo che ha visto gli indicatori reggere.

Sulla competizione di fondo però abbiamo perso. Sono passati 10 anni e abbiamo perso. Perché nessuno se ne è occupato.

Quella tradizione storica, quella modalità di concepire la logistica come un problema e non una risorsa perdura tutt’oggi in un Paese che non se n’è mai occupato.

Ecco perché per noi il punto da cui prende le mosse questa assemblea e cioè il collegamento tra logistica, porti, infrastrutture e l’industria 4.0. è assolutamente centrale e vitale.

Per noi la sfida è stata proprio quella di riammagliare l’Italia e le infrastrutture, legare logistica e industria, ripartire dai trasporti che sono un bisogno della società. 

La Riforma ci dà questa opportunità di andare avanti. Per chiudere la vecchia stagione è necessario uno sforzo da fare insieme”.