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Donne e mare, Gregoria Gioffrè: “Ciò che chiediamo è un maggiore riconoscimento e tutela”

Intervista a Gregoria Gioffrè, imprenditrice del mare di Bagnara Calabra, Presidente di Pesca Futura Società Cooperativa e di Marevivo e referente regionale Calabria di UILA Pesca

Del 30 Novembre 2023

di Angela Iantosca

Il mare è poetico. Me lo ha detto ieri un ex pescatore mentre mi parlava di quello che è stato per molto tempo il suo mestiere e che ancora oggi, a distanza di più di venti anni, rimpiange. Ha parlato di fatica, passione, paura, preoccupazione, necessità del ritorno a terra, ma soprattutto di albe indimenticabili e di quella distesa blu alla quale sentiva (e sente) la necessità di tornare.

Me lo ha detto sorridendo, con la stessa passione, poche ore prima Gregoria Gioffrè, una donna del mare che quel blu lo ha incontrato per caso nella sua vita lavorativa e non lo vuole più lasciare. Una donna forte, come lo sono le donne di Bagnara Calabra: libere, determinate e legate a quella distesa che guardano da sempre in attesa del ritorno dei propri uomini, in attesa di quel pesce da vendere, in attesa… come Penelopi a volte tradite proprio da quel mare, loro alleato e rivale.

Gregoria è Presidente di Pesca Futura Società Cooperativa e di Marevivo, ma anche referente della regione Calabria di UILA Pesca.

Cominciamo dal tuo incontro con il mare: è frutto di una tradizione di famiglia?

“No! Sono laureata in economia aziendale e ho cominciato a lavorare in un centro servizi marittimi venti anni fa e da lì ho cominciato a gestire, da un punto di vista contabile e marittimo, imprese di pesca. Nel 2016 è nata la Cooperativa Marevivo, da me rappresentata: nata con una sola imbarcazione da pesca, ora ne conta 42”.

In che zone operate con Marevivo?

“Operiamo sul territorio nazionale, arrivando fino in Liguria. E poi anche in Spagna”.

Pesca Futura?

“Pesca Futura è un’altra Cooperativa acquisita qualche anno dopo che conta barche piccole, per la pesca locale”.

Quale è lo stato dell’arte della pesca in Calabria per le donne?

“La presenza delle donne si è ridotta molto: non ci sono più le classiche donne che portano il pesce in giro. Adesso abbiamo degli spazi adibiti, all’entrata del rione del pescatore, dove vendono con degli auto-negozi. Abbiamo alcuni dipendenti che lavorano per noi con queste licenze ambulanti itineranti”.

Quando è cominciato il cambiamento?

“Ormai da 6-7 anni è cambiato tutto. Fino a qualche anno fa ancora le donne per lo più anziane andavano in giro, sia in paese che nei paesi limitrofi, a vendere il “pesce fresco”, pescato nella notte; ora invece non è più cosi”.

Che pesce si pesca in Calabria?

“In Calabria c’è una varietà di pesce che viene pescato nelle nostre acque, sicuramente quello più noto è il pesce spada pescato da maggio a settembre. Si pesca con l’attrezzo palangaro oppure viene pescate dalle barche denominante feluche, ovvero, con termine locale, “le passerelle”: ne esistono solo 11 al mondo e si trovano esattamente collocate tra la sponda calabrese e quella siciliana, io nella mia cooperativa ne gestisco una”.

Cosa sono le passerelle?

“Sono barche da pesca tipiche della tradizione siciliana e calabrese sulle quali viene montata una passerella in ferro, attaccata alla prua, lunga circa 20 metri. Al centro della barca si eleva una torre fatta di gradini in ferro. Da lì ci sono due persone dell’equipaggio che fanno l’avvistamento del pesce spada, non appena avvistano il pesce, danno il segnale agli altri marittimi per avvisarli, così percorrendo la passerella con un fiocina prendono la mira e lo arpionano. Un metodo antichissimo, che si può usare solo in alcune fasi dell’anno, quando il mare è calmo, perché se il mare è agitato diventa molto pericoloso per la stabilità stessa dell’imbarcazione”.

Per questo lavoro sono richieste solo braccia maschili?

“Questo lavoro è prettamente maschile, perché ci vuole molta forza fisica. Le donne che si imbarcano di solito a bordo rivestono la qualifica di mozzo o marinaio, ma il più delle volte sono donne che vanno ad aiutare i mariti. In tutta la nostra Cooperativa ce ne sono 2/3 che sono imbarcate e vanno in mare con i loro consorti. Fino a qualche anno fa la media era molto più alta, Sono diminuite dopo la pandemia. Ora per lo più rimangono a terra ad aspettare il marito o i loro figli per poi dedicarsi alla vendita del pescato del giorno: perché se vendi subito in banchina, guadagni molto di più”.

Cosa chiedete in termini di diritti per le donne?

“Un maggiore riconoscimento, un riconoscimento equo per il suo lavoro: la donna spesso è una figura marginale, in quanto svolge il suo lavoro dietro le quinte. L’aiuto che le donne danno alla vendita a terra non viene riconosciuto, neanche come coadiuvante familiare. Insomma la legge non le tutela”.

Cambia la paga a seconda se si è maschio o femmina?

“No, la retribuzione varia in base alla qualifica. Un capobarca prende più di un mozzo o di un marinaio. E il pagamento è determinato dal contratto collettivo nazionale: ci sono quelli con le imbarcazioni sopra le 10 tonnellate, sono tutelati dalla legge 413 del contratto collettivo, sotto le 10 tonnellate dalla 250, quindi hanno stipendi ridotti. Hanno tutti una regolare busta paga, ma nella pesca spesso è molto diffusa la parte”.

Cosa si intende per parte?

“Si va in mare tutta le settimane. A fine settimana si tirano i conti: se per esempio l’equipaggio ha guadagnato 4mila euro e a bordo ci sono tre persone, il motorista, il mozzo, il capobarca, dal tutto devono togliere le spese che possono essere il gasolio o altro e quello che rimane viene diviso in tre parti, ovviamente la parte è intesa divisa in base alla qualifica”.

Come è cambiato il tuo sguardo sul mare da quando lo vivi dall’interno?

“Con il mare ho cambiato totalmente lo sguardo. Ho cominciato che non sapevo neanche cosa fosse una poppa o una prua… Frequentando questo mondo, ho visto e capito tante cose, motivo per cui, ho un ottimo rapporto con i pescatori, perché mi adeguo alle loro esigenze. È un settore dove lavorano molto e hanno riconoscimenti pari a zero, sono poco tutelati. La verità è che la pesca non è che interessi molto. Confrontata all’agricoltura, la pesca non è nulla. Possiamo dire che è una cenerentola nell’economia nazionale. E tutte le restrizioni che stanno arrivando creano ulteriori problemi, come quello del ricambio generazionale. Non abbiamo giovani, per questo io d’estate cerco flussi migratori”.

I giovani non sono disposti ai sacrifici?

“I ragazzi sarebbero anche disposti a farlo se ci fosse almeno il guadagno. Ma il gasolio è arrivato a costare un euro e questo significa che abbiamo imbarcazioni che spendono 3mila euro a settimana di gasolio: come fai ad avere un indotto che copre queste spese?”.

E l’Europa?

“A livello europeo non gli interessa molto. Loro vanno a guardare solo il problema ambientale e la transizione ecologica, come se tutti i problemi del mondo li creasse la pesca italiana. I nostri pescatori sono soggetti a regole ferree, a controlli assurdi, vedi ad esempio l’ultimo regolamento comunitario che prevede le telecamere a bordo di imbarcazioni che superano una certa lunghezza. Loro dovrebbero porsi il problema del tipo di che pesca si fa in un determinato territorio e promuovere la pesca locale e tradizionale che, invece, sta sparendo. L’Europa sta mettendo quote su qualsiasi tipo di pesce. Le piccole barche, molte, sono in vendita. Aspettano tutti la demolizione come se fosse una salvezza”.

L’Osservatorio Nazionale Pesca ha dato vita al progetto “Donne nell’impresa ittica”: la Rete delle Donne quanto è importante?

“Si sta prendendo sempre più consapevolezza che le donne nella pesca sono un punto di forza che può trainare il settore. Il mio intento è che venga riconosciuto – anche a livello previdenziale – valore a queste donne che da una vita sono tassello portante, ma che non hanno diritti. È la donna che traina il meccanismo. Io che sono in primo piano e ho a che fare con molte donne mogli e madri di pescatori me ne accorgo tutti i giorni: i mariti vanno a mare, ma sono le donne che svolgono il lavoro a terra, vedi vendita del pescato, fatturazione e quanto possa servire a bordo. Sono attive e portano avanti il lavoro dell’uomo! A terra è la donna che opera. I mariti arrivano in porto e scaricano il pesce, ma sono le donne che poi si occupano dello smistamento del pesce, pulendolo, commercializzandolo e portandolo spesso anche nelle case dei clienti, trainando cosi l’indotto”.

Cosa vedi nel futuro?

“Se va avanti così, vedo poco cambiamento. Abbiamo 15 barche della piccola e grande cooperativa che vogliamo demolire. La gente che va in mare è ormai grande di età e parliamo di un lavoro usurante a causa del quale arrivi a 50 anni che hai il corpo di un ottantenne, tra la fatica fisica, il rumore dei motori, i mesi trascorsi fuori nel vento, nella salsedine… Ci sono barche che partono a maggio e tornano ad ottobre e lì fanno tutto. Ora come ora credo che se non si impegnano a trovare una soluzione il settore della pesca rischia di morire e sarebbe un grave peccato. Abbiamo bisogno di aiuto dei nostri politici!”.

Il tuo pesce preferito?

“Io amo il pesce azzurro, le acciughe, il pesce povero quello che ti fa imbandire la tavola con 5 euro! Qui da noi abbiamo una grande tradizione del pesce spada e c’è anche una sagra che va quasi per la sessantesima edizione. Un pesce questo che tutti conoscono e che stanno pensando di fare IGP. Un’ottima cosa, almeno si tutela!”.

Se chiudi gli occhi che senti?

“L’odore del mare!”.