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L’alfabetizzazione sull’Oceano è una priorità condivisa, ma bisogna investire di più sul mare e sulla sua salvaguardia – Intervista a Francesca Santoro 

Un confronto aperto con la direttrice di Economia del Mare Magazine Roberta Busatto

Del 14 Luglio 2022

A pochi giorni dalla conclusione della Conferenza Onu sull’Oceano, che si è svolta a Lisbona dal 27 giugno al 1 luglio, abbiamo intervistato una delle protagoniste, da anni al centro dei progetti più importanti per la salvaguardia e la promozione del mare e dell’oceano.

Francesca Santoro è specialista del Programma Ocean Literacy della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO e promotrice in Italia del Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile (2021-2030).

Ed è prima di tutto una ricercatrice, competente e appassionata, al servizio dell’oceano.

Partiamo dalla recente Conferenza ONU sull’Oceano: è andata secondo le aspettative?

Diciamo sì e no. Sì, nel senso che la cosa per me più rilevante è che c’erano tantissime persone: alla prima conferenza di New York eravamo circa 1.500, invece a Lisbona eravamo 6.000 persone e in più sono venuti 24 capi di Stato, compreso Macron e questo a rappresentare l’importanza di quello che stava succedendo. L’Italia purtroppo era la grande assente, con una scarsissima partecipazione italiana.

Come mai? Sembra che il tema del mare sia proprio assente dall’agenda della politica…

Esatto, è proprio un tema che incredibilmente non è al centro dell’agenda. Lo scorso weekend ero all’isola d’Elba, perché una marca di profumi “Acqua dell’Elba”, ha creato una Fondazione e ha voluto organizzare un Festival sul mare e tra le altre persone c’era la parlamentare Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente, che mi ha confermato che a parte la Legge Salvamare, che comunque era andava avanti da parecchio, è da almeno due anni che in Parlamento non si parla di mare.

Il problema è che non se ne parla probabilmente né da un punto di vista ambientale né da un punto di vista economico…ed è quello che è emerso anche dal Summit Blue Forum Italia Network dove tutti hanno lamentato la stessa problematica: è vero che c’erano diverse rappresentanze politiche, però è anche vero che erano in ordine sparso, senza una progettualità, una visione, un’idea chiara sul tema…

Si assolutamente si ed è una cosa su cui ci sbatto la testa, perché veramente non capisco come l’Italia non si renda conto di quanto sia importante occuparsi di questi temi.

La Conferenza delle Nazioni unite sull’oceano aveva l’obiettivo di riportare o meglio di proseguire il lavoro che a livello internazionale si sta facendo per tutelare il mare e mettere in campo diverse azioni in particolare quella dell’obiettivo 14 dell’agenda 2030, c’è stato un avanzamento da questo punto di vista? Ci sono novità, nuove progettualità o un’evoluzione?

Un grafico pubblicato recentemente in un articolo del World Economic Forum fa vedere come tra tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030, l’SDG14 sia quello che riceve meno finanziamenti di tutti e quindi da questo punto di vista sicuramente non ha grandi prospettive.

Però alla Conferenza è stata lanciata tutta una serie di iniziative importanti.

Primo fra tutti l’obiettivo di mappare entro il 2030, l’80% del fondale marino. Attualmente siamo al 23,4% e la cosa interessante è notare che comunque l’organizzazione idrografica internazionale è stata creata 101 anni fa e ci sono voluti 100 anni per mappare il 5% e negli ultimi 3-4 anni siamo arrivati al 23,4, quindi questo fa sicuramente ben sperare, nel senso che ovviamente la capacità tecnologica si è sviluppata immensamente.

Questo obiettivo dell’80% è importante perché ci sono legate diverse attività economiche al fondale Marino, non da ultimo tutti i cavi che servono anche alle connessioni internet di tutto il mondo. 

Poche persone lo sanno questo, però Internet passa principalmente sotto il mare e quindi per questo e per tutta un’altra serie di attività economiche.

Legato a questo, poi si è parlato di un’altra cosa molto importante, ed è stato Macron a portarla avanti ad alto livello politico: creare una moratoria contro il Deep Sea Mining, questo perché la comunità scientifica ancora non ha abbastanza dati per poter definire quali sono le conseguenze sull’ecosistema dello sfruttamento delle risorse minerarie del mare. Di questa cosa si parlava da un po’, però è importante che sia stato proprio il Capo di Stato di un Paese importante come la Francia a chiedere una moratoria fintanto che non si capisca meglio quali siano le conseguenze a lungo termine di questo tipo di attività sull’ecosistema marino.

Al tempo stesso si sta portando avanti la promozione della ricerca scientifica sulle profondità più importanti dell’oceano.

Che poi è uno degli obiettivi del decennio del mare quello di promuovere e integrare la parte di ricerca scientifica sull’oceano…

Assolutamente sì, infatti questa è stata una delle cose citate da Guterres nel suo discorso inaugurale, nel quale ha detto sì alla promozione della famosa Blue economy, però in maniera sostenibile e per fare questo è necessario che si promuova più ricerca in ambito marino.

Bisogna tenere presente che i finanziamenti alla ricerca oceanografica a livello mondiale vanno dallo 0,7 al massimo del 4% del totale investito in ricerca scientifica e questo dà l’idea di quanto venga investito.

Questo è abbastanza incredibile in considerazione del ruolo che ha l’oceano per la vita sulla Terra e forse è quello il punto: che non è chiaro e non so bene perché…

Sicuramente e per quello è centrale il lavoro che porto avanti personalmente sull’Ocean Literacy, letteralmente “alfabetizzazione sull’oceano”. È stato veramente citato da tutti come fondamentale. La conferenza di Lisbona era sponsorizzata da Kenia e Portogallo ed entrambi i presidenti dei due Paesi hanno sottolineato l’importanza dell’educazione e dell’informazione.

L’Ocean Literacy è stata citata in maniera esplicita anche nella dichiarazione finale della conferenza come una delle priorità per i prossimi anni.

E questa è una buona notizia, perché aumenta il grado di sensibilizzazione generale, dall’altro è anche indice del fatto che siamo ancora all’inizio… però è giusto: partiamo dalla base, sperando di arrivare anche poi ai vertici e cioè alla politica…

Esatto, infatti noi abbiamo questa iniziativa che è stata promossa dalla nostra Direttrice Generale lo scorso febbraio quando c’è stato il One Ocean Summit promosso da Macron, nel quale ha fatto un appello a tutti gli Stati membri per includere questi temi nei programmi scolastici entro il 2025.

Quindi noi abbiamo pubblicato un invito per i governi a gennaio di quest’anno e proprio a Lisbona abbiamo organizzato il primo training per i decisori, per iniziare questo processo di riforma dei programmi scolastici, in modo che questi temi vengano introdotti in maniera strutturata.

C’erano tutte le nazioni europee? L’Europa come risponde a questo tema?

L’Europa sicuramente era presente, c’era anche il Commissario europeo all’ambiente e all’oceano.

La Commissione europea ha questa iniziativa che si chiama EU FOR OCEAN, che è proprio legata all’Ocean Literacy, con tre grandi aree di intervento.

La prima è appunto la creazione di questa coalizione europea per l’Ocean Literacy (EU FOR OCEAN).

Poi c’è un forum per i giovani che si chiama YOUTH FOR OCEAN FORUM.

E poi c’è questa grande iniziativa della Rete delle scuole blu a livello europeo, che vuole fare in modo che le scuole per un anno si dedichino a un tema relativo al mare.

E noi come Unesco abbiamo firmato un accordo con la commissione europea lo scorso gennaio, proprio per aiutare a promuovere queste scuole blu in tutta l’Europa.

Attualmente la rete conta circa 160 scuole di ogni ordine e grado distribuite su tutto il territorio europeo (Italia compresa) e quindi c’è chiaramente bisogno di farle diventare molto più.

Invece per quanto riguarda la rete delle città blu, che se non sbaglio era un altro dei temi collegati a questo discorso?

Già quando c’è stata la conferenza di Brest a febbraio e poi dopo a Ravenna durante l’European Maritime Day, abbiamo continuato a parlare di quest’idea di una rete di città blu.

Uno dei temi citati tra quelli comuni da affrontare è quello di proteggere le città, soprattutto quelle costiere, dagli effetti dei cambiamenti climatici, quindi dall’aumento del livello del mare e da altri eventi estremi. Venezia è stata invitata a far parte di questa rete, in cui per il momento c’è Brest, alcune città olandesi e credo che anche Ravenna, appunto in occasione dello European Maritime Day, abbia partecipato all’incontro.

Relativamente al Decennio del mare, ci sono iniziative in programma nei prossimi mesi che già possiamo annunciare?

Intanto continueremo a portare in giro la nostra mostra sull’oceano e sul clima e la prossima tappa sarà Napoli in autunno alla Stazione Zoologica Anton Dohrn. In queste occasioni coinvolgiamo le scuole, le famiglie, ma anche le comunità locali in momenti di confronto e approfondimento che possano approfondire le tematiche specifiche dei vari territori in cui la mostra si ferma.

Poi stiamo per lanciare il nuovo bando per le Donne di mare, nato lo scorso anno, quando abbiamo eletto la nostra prima donna di mare è che una giovanissima biologa marina che ha un progetto bellissimo di divulgazione e di educazione al mare. Lanceremo il nuovo bando e stiamo ragionando se allargarlo dall’Italia a tutti i Paesi del Mediterraneo.

Stessa cosa sul nostro hackathon interamente dedicato all’oceano, che abbiamo chiamato Oceanthon e che l’anno scorso abbiamo già aperto a tutti i paesi del Mediterraneo. Lo faremo anche quest’anno e ci piacerebbe farlo in presenza, dopo le prime due edizioni digitali.

Poi stiamo continuando con i nostri progetti di recupero degli ecosistemi marini, soprattutto della Posidonia oceanica. Ci piacerebbe anche poterci occupare di altre specie, tra cui il corallo mediterraneo e anche qui il nostro obiettivo è di allargarci a tutti gli altri Paesi del Mediterraneo.

Tutti questi progetti di recupero degli ecosistemi marini sono in collaborazione con enti di ricerca?

È importante sottolineare, siccome questa cosa sta diventando molto di moda e ci ritroviamo addirittura chi si permette di vendere piante di posidonia oceanica, cioè di un bene comune, che noi collaboriamo con persone che se ne occupano da tanti anni e che sanno esattamente cosa stanno facendo, dove farlo e come farlo. 

Nel PNRR esiste un programma di Marine Ecosystem Restoration, gestito da Ispra, a cui noi facciamo riferimento, dando il nostro piccolo contributo.

Questo progetto prevede una mappatura di quello che esiste, perché comunque è importante valutare dove operare e come.

Ad esempio non ha senso ripiantare piante dove poi dopo pochissimo verranno di nuovo sradicate.  Ho addirittura sentito che c’è chi sradica una pianta per ripiantarla da un’altra parte o chi agisce senza i permessi necessari delle autorità locali, insomma siamo in un Far West per poter accalappiare un po’ di fondi da povere aziende ignare, abbindolate da venditori di fumo che in realtà promettono meno emissioni di CO2 da mettere nel bilancio sostenibilità.

È chiaro che questa è diventata la corsa del momento…

Questa è una delle mie battaglie più feroci, verso chi vuole usare questi temi per il proprio tornaconto.

Assolutamente. Un po’ come quando si specula su azioni di solidarietà sociale…

Quando lo fa qualcuno che lavora nel mondo della finanza non dico che uno se l’aspetta, però non si stupisce. Altra cosa se lo fa chi si presenta come la paladina o il paladino del mare, allora lì si rimane un po’ sorpresi.

Possiamo racchiudere in poche parole il contributo del mare e dell’oceano nell’ambito dell’ecosistema generale?

Tre cose fondamentali.

Una è sicuramente la regolazione del clima: alcune zone di questo pianeta sono abitabili grazie alla capacità regolatrice dell’oceano con le sue correnti e purtroppo, a causa dei cambiamenti climatici, questo equilibrio si sta modificando.

Poi è sicuramente fondamentale per la produzione di ossigeno: dal 50 all’80% dell’ossigeno prodotto su questo pianeta è prodotto nel mare. Si parla sempre di Amazzonia come polmone verde, ma in realtà dovremmo parlare di polmoni blu, che il nostro oceano.

Infine per il cibo: in media circa il 16% delle proteine animali ingerite a livello mondiale viene dal mare, ma in alcuni casi questo può arrivare anche al 60% per alcuni paesi. Sono proteine di alta qualità e che fanno bene alla salute.

La salute umana è legata anche alla salute del mare per tutta una serie di questioni tra cui appunto questa relativa alla fonte di proteine di alta qualità, ma non solo. Si stanno scoprendo diverse sostanze provenienti dal mare, utilizzate dall’industria farmaceutica, prodotte dagli organismi marini che si trovano in profondità e che, dovendosi adattare a condizioni molto complesse come la mancanza di luce o la forte pressione, sviluppano delle sostanze che stanno sempre di più interessando l’industria farmaceutica e vengono utilizzate per curare malattie importanti come il cancro o l’Alzheimer.

Roberta Busatto,
Direttrice responsabile