Sono tante le cose che mi hanno colpito dell’intervista che ci ha concesso recentemente Francesca Santoro, specialista del Programma Ocean Literacy della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO. Ma su tutte è la coincidenza di alcune parole, chiare e inequivocabili, con un contesto politico così traballante e poco rassicurante.
L’Economia del Mare non è al centro dell’Agenda politica di questo Paese. Non è uno dei punti strategici su cui investire. La sua riconoscibilità, al di là e a partire dai numeri, non è ancora tale da fare in modo che entri a pieno titolo nei programmi dei partiti e del Parlamento.
Il tumulto istituzionale a cui stiamo assistendo, che segue quello sanitario, militare, economico e sociale può essere l’elemento di svolta.
Paradossalmente è proprio questo il momento, quello più caotico e duro, per cambiare.
In un Paese che deve ripartire, ricostruire una propria solidità e assumere la responsabilità di una visione, l’Economia del Mare ha lo spazio e tutto il diritto di dire la sua. Di esserci. Di contare.
E allora, oggi e non domani, tutti gli utenti del mare si uniscano in un’unica strada.
Oggi e non domani, ciascuno con i suoi strumenti ma insieme, con coraggio, lavori per questo unico obiettivo.
E qui ci ritroviamo con un secondo punto essenziale. Francesca Santoro ci ha raccontato che “i finanziamenti alla ricerca oceanografica a livello mondiale vanno dallo 0,7 al massimo del 4% del totale investito in ricerca scientifica”.
Una situazione inaccettabile in considerazione del ruolo del mare, non solo come risorsa economica e di sviluppo, ma come elemento essenziale per la nostra stessa esistenza.
Economia del Mare e sostenibilità d’ora in poi non possono che viaggiare insieme.
Ed è proprio questa unione che può rappresentare l’opportunità più grande.
Non possiamo più aspettare.