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Stefano Messina: “Importante l’attenzione da parte delle istituzioni verso lo shipping”. L’intervista di Economia del Mare Magazine al Presidente di Assarmatori

L'incontro avvenuto in occasione del Meeting Annuale di Assarmatori dal titolo “Al Servizio dell’Italia”. 

Del 23 Giugno 2023

di Angela Iantosca

È stata una mattinata intensa quella organizzata il 20 giugno presso il Grand Hotel Parco dei Principi di Roma in occasione del Meeting 2023 di Assarmatori dal titolo significativo: “Al Servizio dell’Italia”. 

Ad aprire i lavori il padrone di casa, il Presidente Stefano Messina con il quale abbiamo avuto il piacere di commentare il dibattito, le proposte e le risposte della politica intervenuta all’Assemblea durante la quale si è parlato di Ets, porti, sostenibilità, Europa, innovazione, crescita, lavoro, bandiera italiana. 

Alla luce di quanto emerso, quale è il suo sentiment sull’Economia del Mare oggi che sembra essere tornata al centro del dibattito politico? Lei è fiducioso che gli armatori e il mondo delle imprese possano avere delle risposte?

“È molto importante il lavoro che fate nella comunicazione voi giornalisti perché io ho un sentiment positivo rispetto all’economia del mare, ma ho sempre la necessità che gli effetti positivi vadano fuori dal nostro settore, vengano comunicati. Comunque, se ci pensa, con il meeting abbiamo bloccato il Parlamento. Meno male che la Meloni era da Macron a Parigi, altrimenti non avrebbero potuto votare! Qui da noi c’erano presidenti di commissione e c’era una parte politica e l’altra. Il Paese credo che inizi a percepire. Ma credo che sia scontato che ciò accada perché il trasporto marittimo non dà problemi a nessuno e il turismo aumenta del 50%!”.

Rispetto all’interesse verso l’Economia del Mare da parte delle istituzioni cosa pensa?

“Al Meeting abbiamo avuto un grande segno di attenzione da parte delle istituzioni, ma non è sufficiente. Non è che uno va ad un convegno due ore e risolve. Ma sembra abbiano detto che continueremo a lavorare sempre di più. Comunque abbiamo già attivato al Ministero gruppi di lavoro con la struttura. Il lavoro dei direttori generali è molto produttivo. Poi ci vuole la spinta politica. Ed oggi c’è stata”.

Il ruolo delle associazioni in questo quadro in cui si va nella stessa direzione?

“Non vedo grandi cambiamenti. Ma ciò che noto è che il settore sia molto più unito di qualche anno fa. Il settore si è compattato”.

Tanti i temi affrontati nel corso della mattinata. Tra questi quello del flagging out.

“Un numero crescente di navi armate da armatori italiani ha cambiato bandiera.

Lo dicono chiaramente i dati dell’UNCTAD riferiti a unità con stazza lorda superiore alle 1.000 tonnellate. La parte della flotta che fa capo ad armatori italiani – ma che batte bandiere estere – è cresciuta al 40,83% del totale, contro una quota che nel 2021 era ancora del 36,43%.

E la scelta di registrare all’estero la propria nave non predilige le bandiere di comodo ma bandiere europee, come Malta, Cipro, Finlandia e Portogallo che garantiscono alle compagnie di navigazione una burocrazia semplice, moderna e digitalizzata che, nell’integrale rispetto delle innumerevoli regole internazionali che governano il nostro settore, è sintonizzata alla soluzione dei problemi che la navigazione ci mette davanti ogni giorno. Quindi non è solo questione di costi o di tassazione.

Ammainare la bandiera italiana significa ammainare una parte importante dell’italianità nel mondo oltre che depotenziare il nostro potere negoziale nei contesti internazionali. È tuttavia fuor di dubbio che la tutela della bandiera non può essere affidata solo alla resilienza degli armatori italiani!”.

Quando sarà finalmente introdotto nel nostro ordinamento quanto l’Europa ci chiede dal 2017 e cioè l’estensione dei benefici previsti dal nostro regime di aiuto anche alle attività esercitate su navi che battono bandiere europee sarà ulteriormente difficile per gli armatori italiani non ascoltare le sirene degli altri registri europei. Sì, perché l’eccesso di burocrazia ha un costo molto alto.

Ecco, signor Ministro (rivolgendosi a Salvini). Il vostro Governo ha adottato il motto “non disturbare chi lavora”. Noi ci attendiamo molto da voi ma il tempo a disposizione è poco. Debbo dire che gli uffici del suo Dicastero negli ultimi tempi hanno dato segni di attenzione adottando alcune significative iniziative che vanno nel solco da noi atteso da anni.

Recentemente è stato depositato in Senato il Disegno di Legge a firma del Senatore Lucio Malan. Si tratta di un testo che contiene molti elementi che vanno nel senso dell’auspicata semplificazione e digitalizzazione. Ci auguriamo che il Governo possa appoggiare tale iniziativa per consentire una rapida approvazione da parte del nostro Parlamento”.

Servizi marittimi e geopolitica

“L’Italia, pur nell’ambito della fedeltà alle proprie alleanze storiche e di un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, ha un ruolo – una missione – da svolgere nel mondo, sia per la sua posizione geografica sia per la sua vocazione al dialogo e alla collaborazione.

I risultati straordinari ottenuti dal nostro Paese in questi anni sul versante dell’export parlano chiaro (quest’anno per la prima volta nella storia oltre il 50% della produzione dell’industria manifatturiera sarà venduto all’estero: macchinari, automotive, farmaceutica, alimentari, vino, grandi multinazionali e PMI, campioni delle esportazioni). Quanto sono importanti i sistemi di trasporto, siano essi via camion ma soprattutto via mare? Quanto importanti i nodi logistici, il servizio sempre più integrato che bisogna dare al mondo della produzione, alle imprese, affinché possano vendere all’estero? Proprio questi dati dimostrano che l’Italia è più considerata nel mondo di quanto noi stessi a volte vogliamo ammettere e riconosciamo.

Dobbiamo pensare seriamente all’Africa quale l’orizzonte naturale del nostro futuro. Noi sosteniamo il “Piano Mattei”. Noi armatori, ed in generale noi operatori del trasporto e della logistica siamo i supplier, il presupposto per lo scambio di beni e servizi, siamo i fornitori del Paese e della sua industria. Ogni settimana decine di navi approdano e ripartono dai porti italiani per collegare regolarmente gli scali di tutto il bacino Mediterraneo, dall’East Med (Turchia, Egitto), al Nord Africa (Libia, Tunisia, Algeria), al West Med (Marocco), andando anche oltre Suez e oltre Gibilterra. Nessun Paese dell’Unione Europea è meglio collegato all’Africa dell’Italia. Questo patrimonio di integrazione logistica ed infrastruttura mobile e flessibile, che non è facilmente replicabile, è posto al servizio del Paese. E non c’è dubbio che l’Africa sia fondamentale per sviluppare la nostra economia, un’opportunità anche per rendere possibile la transizione energetica, per regolamentare l’immigrazione, per favorire la collaborazione e la pace in un Continente martoriato eppure ricco di potenzialità e di risorse.

La nostra collocazione geografica ci pone dunque al centro delle rotte che contano e sono proprio i servizi operati con navi Ro/Ro che saranno cruciali nel crescente traffico tra l’Unione europea e il continente che tutti gli analisti vedono come deputato alla maggiore crescita economica. Sono pertanto questi i servizi su cui maggiormente deve investire il Paese, non solo per la valenza sociale ed ambientale delle Autostrade del Mare, ma per la flessibilità e velocità del trasporto che assicurano alla merce e ai passeggeri.

L’unione Europea ha errato nel ricomprendere tali servizi nel regime ETS poiché tale regime pone un rischio clamoroso al Paese. Onerando il trasporto marittimo di una tassa supplementare, il pericolo concreto è quello di assistere ad un ritorno alla strada del traffico trasferito al mare negli ultimi vent’anni. Sarebbe una beffa: per oltre 20 anni in Italia si è investito per incentivare il trasferimento modale con evidenti benefici in termini di riduzione delle emissioni CO2, di riduzione inquinamento atmosferico ed acustico e congestione stradale, facendo diventare una strutturata realtà i servizi delle Autostrade del Mare di cui oggi il nostro Paese è leader nel Mediterraneo. Ricordo che la stessa Commissione europea nella sua Strategia per una Mobilità intelligente e sostenibile del 2019 ha fissato dei target specifici di incremento del trasferimento modale verso lo short sea shipping del 25 % entro il 2030 e del 50% entro il 2050. Occorre quindi che il Governo si impegni per una efficace politica di sostegno di questo settore per consolidare e sviluppare ulteriormente le Autostrade del Mare scongiurando la perdita di competitività del comparto”.

Facts checking

“Proprio da questo palco, nel 2022, avevamo detto che i costi del trasporto non avevano nulla a che vedere con l’impennata dell’inflazione; si trattava di una tesi fragile, sostenuta da alcuni osservatori a più riprese durante gli anni della pandemia, ma naufragata a seguito di un corretto fact checking. A testimoniarlo sono i numeri: ad aprile 2023 spedire un container da 40’ da Shanghai a Genova costava 2.245 dollari, contro gli 11.966 dello stesso periodo del 2022. Un crollo verticale, mentre l’inflazione ha viaggiato in senso opposto: 1,9% nel 2021, 8,1% nel 2022, 8,7% nel 2023. Una netta risposta a chi, durante la pandemia, straparlava di cartelli e oligopoli e accusava i liner del trasporto containerizzato di essere i principali artefici della spinta inflattiva.

Ancora, nel 2022 avevamo rappresentato al Governo e alla politica europea la necessità di proteggere quantomeno i collegamenti con le isole minori dall’applicazione del regime dei certificati di emissione (l’ETS), obbiettivo raggiunto anche con il concorso trasversale di esponenti della politica, senza distinzione di partito, che hanno contribuito alla protezione dell’interesse nazionale. Parimenti abbiamo sostenuto che andasse protetto il più grande centro di smistamento di merce in arrivo nel Paese, una vera infrastruttura strategica per l’Italia come il porto di Gioia Tauro, dalla potenziale concorrenza dei porti del Nord Africa, facendo sì che venisse esteso anche a questi il pagamento dei certificati di emissione, come avverrà in Europa.

Infine, sempre nel 2022 avevamo affermato che gli armatori e il loro know how sarebbero stati determinanti per contribuire in modo decisivo alla sicurezza e all’indipendenza, a partire da quella energetica, del Paese: così è stato, e l’importanza delle navi-rigassificatore è lì a dimostrarlo”.

Lavoro

“Nel recentissimo Decreto Lavoro è stata poi introdotta su iniziativa del Suo Dicastero una ‘deroga’ alla Legge Cociancich, prendendo atto della situazione emergenziale in cui ci troviamo nel reperimento di personale marittimo italiano da impiegare a bordo, soprattutto in considerazione dell’ormai iniziata stagione estiva. Di questo noi vi ringraziamo, ringraziamo il Governo, nello specifico il suo Ministero (rivolgendosi a Salvini), Lei stesso e il viceministro Rixi. Dobbiamo però essere chiari: per noi questa deroga, nonostante sia stata chiesta proprio da noi armatori, rappresenta una sconfitta perché nostro obbiettivo è quello di imbarcare più personale italiano o comunitario (che sia però residente in Italia). Per farlo occorre: sburocratizzare le procedure amministrative e attuare la riforma del collocamento della Gente di Mare; semplificare i requisiti di accesso e un poderoso aggiornamento dei percorsi formativi di alcune figure professionali oltre a promuovere percorsi formativi specifici per le figure dei sottufficiali; sviluppare le competenze professionali e consolidare le sinergie tra scuola e armamento nazionale nell’ambito di un partenariato pubblico-privato; prevedere un sostegno pubblico strutturale alla formazione obbligatoria iniziale per l’accesso alla professione marittima cosa che sembra essere stata prevista in sede emendativa del succitato Decreto Lavoro attualmente in fase di conversione in Legge.

Nel nostro settore c’è spazio, eccome, per nuova occupazione. E sarebbe davvero imperdonabile non sfruttarlo. Tutto questo va letto anche alla luce della scadenza, a fine anno, della validità del Contratto Collettivo di Lavoro del nostro settore. Molte cose sono state realizzate sul presupposto del senso di responsabilità che contraddistingue la relazione a volte dura ma sempre onesta con le Organizzazioni Sindacali; ammodernare il contratto con strumenti più attuali quali welfare e forme di assistenza sanitaria rappresenta un’occasione per le parti oltre che utile mezzo di attrattività per le risorse umane. Ho, abbiamo ricevuto mandato dai nostri Associati di arrivare alla firma del nuovo testo possibilmente entro la scadenza della vigenza di quello attuale.

Voglio altresì evidenziare come il consolidato e storico sistema delle “relazioni industriali” nel nostro Paese – nel tempo – abbia dimostrato, mediante lo strumento della Contrattazione Collettiva, la propria efficacia garantendo il raggiungimento di trattamenti e condizioni spesso migliorative per i lavoratori, in questo caso marittimi, rispetto a contesti nazionali differenti, non caratterizzati da una solida tradizione basata sul fruttuoso e continuo confronto tra le Parti Sociali”.

Investimenti portuali e integrazione verticale

“Occorre poi incoraggiare gli investimenti nella portualità nazionale, dobbiamo sostenere gli investimenti privati oltre a quelli pubblici, ingenti investimenti in asset materiali, dove sono necessarie dimensioni di giro d’affari ed economie di scala, che possono essere ben compatibili con la presenza di professionalità e know-how locali, di cui le nostre comunità portuali sono popolate. Dobbiamo superare i preconcetti riguardo all’integrazione verticale nel nostro settore se vogliamo stare al passo dei tempi e degli altri Stati a cui spesso ci riferiamo invidiandone efficienza e modernità. Non possono esservi dubbi su chi sceglie di investire centinaia di milioni in infrastrutture sul demanio nazionale per migliorare l’efficienza degli scali, la loro produttività oltre ad aumentare occupazione ed investimenti anche nella formazione e nella sicurezza. Noi siamo per tutti gli operatori che perseguono gli interessi dell’impresa e dello Stato al proficuo utilizzo delle aree e banchine portuali.

Signor Ministro, sono gli armatori che portano i traffici nei porti, e gli armatori portano la merce dove i porti sono efficienti, sicuri e competitivi. La scelta politica aumenta le condizioni di competitività. Un porto che può offrire una valida solida ed efficiente integrazione tra il vettore marittimo e la catena logistica terrestre avrà la meglio su altri modelli ed inoltre avrà il vantaggio di avere consolidato la presenza della linea marittima in quel territorio”.

Transizione energetica

“Oggi, ogni sforzo che l’industria della navalmeccanica ovvero del più avanzato ed ispirato armatore può compiere arriva a ridurre le emissioni di una percentuale stimata nel 30%.

La restante parte è affidata alla produzione e alla capillare distribuzione di carburanti alternativi al fossile. Se la produzione è un fattore industriale che le nostre imprese – pubbliche e private, veri campioni europei ed internazionali – sapranno affrontare, sono la distribuzione e la logistica fino alla banchina e la messa a bordo che rappresentano per noi armatori problemi significativi. La nostra orografia portuale e il numero degli approdi – nostra grande risorsa – qui gioca a sfavore. Noi non siamo olandesi o tedeschi che hanno pochissimi porti tutti a natura industriale lontani dai centri abitati. I nostri scali – dove dovranno essere stoccati i carburanti sintetici – sono all’interno delle città, circostanza che pone più di un quesito sui tempi e addirittura sulla capacità che il nostro settore avrà di rifornirsi di ammoniaca o metanolo in tempi ragionevoli. Qui si rischia di pagare i certificati di emissione in modo permanete rendendo de facto il nostro trasporto più caro di quello dei nostri Paesi nostri competitors. Il regime ETS serve per incentivare la transizione e non è ideato per durare per sempre, altrimenti potrebbe sembrare che basti pagare per poter inquinare.

Occorre pensare a delle alternative: vorrei segnalare che l’utilizzo di biofuel – ed in particolare di biodiesel – di ultima generazione rappresenta una risposta immediata al tema della transizione energetica dello shipping. L’Italia ha una potenzialità produttiva interna estremamente rilevante, che va a sommarsi a quella che importanti industrie nazionali stanno costruendo in Paesi terzi.

Gli armatori sono pronti a sperimentare, nell’ottica della decarbonizzazione, tutte le tecnologie futuribili e ad usare i carburanti sostenibili che si profilano. Ma non sono gli unici attori: l’industria di terra deve fare la sua parte, sviluppando i tipi di combustibile e garantendone l’adeguata produzione. È quindi il Governo che deve attivare il dialogo tra i protagonisti di questa rivoluzione: l’industria energetica, aziende pubbliche e private, i distributori e depositari portuali, e gli armatori oltre agli attori pubblici dall’Agenzia delle Dogane alla nostra Amministrazione di bandiera in primis.

Occorre infine affinare l’impianto regolatorio sia in sede IMO riconoscendo al biofuel il suo ruolo come del resto ha già fatto l’amministrazione francese e ammettendo lo stesso al regime delle esenzioni dalle accise del pari degli altri carburanti marini. Se faremo tutti la nostra parte avremo scritto un nuovo ed epocale capitolo della storia marittima nazionale”.

Rinnovo flotte

“Abbiamo la risposta alla domanda sul perché gli armatori italiani non hanno ancora investito – se non in minima parte – nel rinnovo delle flotte approfittando della misura davvero straordinaria che ha stanziato ben 500 milioni di euro. Lo voglio dire chiaramente: gli armatori italiani sono pronti a fare la loro parte ma le regole dettate dalla Unione Europea in materia di aiuti di stato alla transizione energetica hanno immaginato investimenti per tecnologie che non esistono o che – se esistono – prevedono l’uso di carburanti non ancora disponibili. I limiti temporali – fissati al 2026 – e territoriali per effettuare gli investimenti – per ora limitati alla sola Unione europea – hanno fatto il resto posto che per molte tipologie di navi la cantieristica europea non è più in grado di costruire alle condizioni di altri mercati”.

Riforma portuale

Secondo noi la legge attuale va bene, va rinforzato il ruolo della Conferenza dei Presidenti delle AdSP! Abbiamo dei bravi Presidenti, sosteniamoli e teniamoli uniti e coordinati. Non siamo favorevoli ad una riforma che porti ad un’autonomia differenziata dei vari scali italiani. Anzi, il sistema portuale dovrebbe essere visto come un unicum e affidato ad una governance unitaria e centralizzata. Questo anche per scongiurare scenari (peraltro già verificatisi) che portino all’adozione di scelte non armonizzate. Impensabile avere un sistema di regole in uno scalo e un altro in uno poco distante”.