1000 metri sotto il mare
Questo il titolo del libro che tanto mi affascinava quando mi portavano da piccolo in visita di dovere a trovare le vecchie zie.
La noia di una visita compensata però dal fascino di poter maneggiare questo libro che sulla sopra copertina un po’ ormai consumata mostrava due mostri marini in piena vista intorno alla batisfera nel nero profondo degli abissi.
L’uomo sott’acqua
L’autore, Charles William Beebe, un naturalista, esploratore e biologo marino, descrive la sua avventura nel 1934 a mille metri sott’acqua e racconta delle creature che incontra là, dove all’epoca non si pensava esistesse la vita. Beebe fu colui che per la prima volta utilizzò il termine Batiscafo e che per primo affrontò l’esplorazione sottomarina con lo sguardo del ricercatore, diversamente da quanto avvenuto fino ad allora, quando il mondo sottomarino aveva principalmente una declinazione militare.
Da allora si sono succeduti molti coraggiosi esploratori che hanno portato avanti la ricerca e le tecnologie abilitanti dell’esplorazione sottomarina.
L’uomo è sempre andato sott’acqua per svariati motivi, dai pescatori di corallo di Torre del Greco alle Ama che ancora adesso in Giappone pescano le ostriche, dai pescatori di spugne che sotto campane subacquee possono prolungare il tempo di immersione (la leggenda ne attribuisce l’uso anche ad Alessandro Magno), ai palombari che lavorano a operazioni di recupero o altro a grandi profondità.
Da sempre tuttavia la presenza dell’uomo sott’acqua è stata limitata dalla disponibilità delle tecnologie abilitanti per scendere sempre più in profondità in sicurezza.
La sicurezza che possiamo avere oggi ha lasciato purtroppo sulla sua strada molte vite, se solo pensiamo a quante sono costate le moderne tabelle di decompressione.
La strada della subacquea come la conosciamo ha molti padri e moltissimi perfezionatori. La storia riporta per esempio l’idea del boccaglio al 500 AC, quando un soldato greco – secondo Erodoto – riuscì a ingannare i marinai persiani e a tagliare gli ormeggi delle loro navi nuotando sott’acqua e respirando con un giunco cavo.
Dobbiamo invece a Paul Bert e agli esperimenti condotti nel 1878 la scoperta di come l’organismo reagisce alla variazione della pressione atmosferica e di quella dell’ossigeno nel sangue. La scoperta dell’ipossia e dell’iperossia risalgono a questi esperimenti che hanno posto la base della medicina subacquea. In quel momento si cominciò a capire come la subacquea dipendesse dalla chimica, oltre che dalla prestanza fisica.
In tempi più recenti dobbiamo a Jaques-Yves Cousteau la consapevolezza del mondo sottomarino con la sua fantastica bellezza e difficoltà. Il Comandante Cousteau portò al perfezionamento quasi tutti i mezzi e gli strumenti che oggi conosciamo per la subacquea umana, dallo scafandro autonomo alle macchine fotografiche subacquee, dal regolatore di pressione per le bombole alla prima nave oceanografica a turbovela.
Autore di una mezza dozzina di libri è soprattutto famoso per aver partecipato alla realizzazione di un centinaio di pellicole con le quali ci ha reso partecipe delle sue esplorazioni, a bordo della nave Calypso, di ogni inesplorata parte del mondo marino e anche fluviale. A lui dobbiamo la conoscenza per immagini del mondo subacqueo con la sua bellezza e le sue fragilità.
Il Comandante Cousteau è stato anche il promotore della prima realizzazione di una stazione sottomarina, il progetto Précontinent con il quale tra il 1962 e il 1965 dimostrò come l’uomo (fino a 6 persone nella stessa stazione) può vivere sott’acqua per periodi anche lunghi (un mese) svolgendo regolarmente operazioni sottomarine a profondità tra i 10 e i 100 metri (Marsiglia, Mar Rosso, Nizza).
Osservando il comportamento di questi primi “oceanauti” egli osservò come l’uomo, per quanto dotato delle appropriate caratteristiche fisiche, fatica a vivere in un mondo senza sole ed è per questo che ora l’umanità si rivolge principalmente allo spazio per il suo futuro. Non è però solo il calore del sole che l’uomo cerca, ma la luce per vedere il mondo che lo circonda. Questa è oggi la più grande sfida della ricerca sottomarina: vedere.
Ad oggi il record di permanenza sott’acqua è del Prof. Joseph Dituri dell’Università della Florida con 100 giorni a 10 metri di profondità a Key Largo (Jules’ Undersea Lodge), impresa dedicata alle ricerche sul comportamento psico-fisico del corpo durante e dopo lunghi periodi di confinamento. La cosa più straordinaria è stato constatare che i suoi telomeri, i cappucci protettivi del DNA che di solito si restringono con l’età, si sono allungati nella sperimentazione del 20%, riportando di fatto indietro il suo orologio biologico. Dunque stare sott’acqua allunga la vita?
Le grandi profondità
Dobbiamo alla Gran Bretagna invece la prima sistematica analisi della dimensione sottomarina con la missione portata a termine tra il 1873 e il 1876 dalla nave HMS Challenger (uno degli Space Shuttle portò in memoria il suo nome) che rappresentò la prima campagna di ricerca sottomarina globale. Fu questa nave a misurare quella che al momento sembrava essere la massima profondità oceanica 8.184m, poi corretta in seguito a circa 11.000m, denominata Challenger deep, accanto all’arcipelago delle isole Marianne nell’oceano Pacifico.
Da quel momento discendere alla profondità del Challenger deep divenne uno degli obiettivi di esplorazione dell’uomo. Fu il fisico svizzero Auguste Piccard (altra analogia con Jean-Luc Picard della USS Enterprise) che progettò il primo batiscafo adatto allo scopo, una sfera sommergibile pressurizzata in grado di spostarsi sott’acqua e di variare il proprio assetto di galleggiamento. Con questo batiscafo, A. Piccard raggiunse nel 1954 una profondità di 4.000m, mentre nel 1960 il figlio Jacques Piccard raggiunse la profondità record di 10.916m nella fossa delle Marianne, con il batiscafo Trieste costruito dal padre.
Al seguito del progetto Trieste, considerato troppo ingombrante e poco maneggevole, presso la WHOI – Woods Hole Oceanographic Institution ebbe inizio una lunga e affascinante storia relativa alla ricerca sottomarina a mezzo di batiscafi con persone a bordo. La sequenza più significativa è quella del batiscafo Alvin che, progettato e costruito in una prima versione nel 1964 e aver subito molte modifiche e miglioramenti, continua ancora 60 anni dopo la prima missione ad operare e a essere considerata una delle macchine più utili e efficienti al servizio della ricerca e delle attività sottomarine manned.
A titolo di esempio vale la pena ricordare il successo ottenuto già nel 1966, in collaborazione con CURV – Cablecontrolled Undersea Recovery Vehicle – un mezzo della US Navy con il recupero di una bomba H persa da un B52 nel Mediterraneo.
Per la cronaca dobbiamo anche citare il terribile incidente nel quale è incorso lo scorso anno il Titan, veicolo utilizzato per turismo sottomarino, purtroppo collassato nella discesa verso il relitto del Titanic. Le indagini sulle ragioni del collasso della struttura non hanno ancora chiarito tutto, ma è molto probabile che ci siano stati errori di progettazione che non sono emersi durante i test di collaudo, semplicemente perché alcuni test non sono stati effettuati correttamente.
La dolorosa conclusione da trarre non è relativa al pericolo degli abissi, ma al fatto che, come per lo spazio dove il turismo si è ormai affermato, i criteri di progettazione e di prova dei veicoli sottomarini devono essere severissimi.
Dall’avventura del Trieste una trentina di persone sono scese con mezzi diversi alla massima profondità, notevole fra tutte l’impresa del regista canadese James Cameron che nel 2012 è sceso da solo nel Challenger Deep e ha realizzato un magnifico documentario della sua impresa.
Notevoli anche gli sforzi per un’esplorazione sottomarina “unmanned”. Sono decine le macchine che hanno raggiunto anche notevoli profondità osservando e riportando a galla esemplari biologici e minerali per poter avanzare nella conoscenza delle profondità marine, ma non basta.
La presenza continuativa
Abbiamo dimostrato di poter scendere negli abissi più profondi, ma la ricerca sulla vita a quelle profondità per esempio è ancora sempre modesta, mentre la permanenza umana é ancora molto limitata.
Il più recente importante progetto di ricerca sottomarina “unmanned” è rappresentato dal progetto LSPM – Laboratoire Sous-marine Provence Méditerranée, una struttura sottomarina posata a circa 2.450m sotto il livello del mare a 40 km al largo di Tolone (F) e gestito dal CNRS – Centre National de Recherche Scientifique in collaborazione con alcune università francesi per sondare il cielo alla ricerca dei neutrini e per la ricerca sottomarina (acidificazione del mare, deossigenazione delle profondità, radioattività e sismicità sottomarina, ma anche osservazione del passaggio dei cetacei e bioluminescenza).
La stazione è collegata con la rete di infrastrutture di ricerca europea EMSO – European Multidisciplinary Seafloor and water column Observatory al quale partecipa anche l’Italia con tre strutture, la Western Mediterranean, la South Adriatic e la Western Ionian sea facility gestite da entità di ricerca nazionali.
Come visto in precedenza l’esplorazione sottomarina ha anche una importante dimensione umana e di recente è ripreso l’interesse per una ricerca sottomarina che preveda la presenza umana per lunghi periodi, necessaria per capire meglio l’ambiente marino profondo.
Al momento attuale l’unica struttura sottomarina di ricerca abitata é costituita dall’Aquarius Reef Base, un laboratorio sottomarino adagiato alla profondità di circa 19m a 9 km al largo di Key Largo in Florida e operato dall’Università Internazionale della Florida.
Il laboratorio è utilizzato principalmente da biologi marini che studiano la barriera corallina vicina e i pesci e le piante acquatiche che la popolano. All’interno le migliori attrezzature e computer consentono ai ricercatori di compiere le proprie ricerche senza abbandonare la base sottomarina.
La struttura può ospitare quattro ricercatori e due tecnici per missioni della durata media di dieci giorni. Lavorando in “saturazione” gli acquanauti possono vivere e lavorare per giorni e settimane uscendo e rientrando nel laboratorio senza bisogno di continue decompressioni necessarie nel caso dovessero rientrare in superficie.
Acquanauti
L’esperienza di Aquarius, originariamente sviluppato dalla NOAA – National Oceanic and Atmospheric Administration, ha portato quest’ultima alla progettazione di una struttura ancora più importante, con la sigla di un accordo con il Proteus Ocean Group, per una nuova Stazione Spaziale Internazionale dell’oceano: Proteus, la “versione subacquea” della ISS che verrà costruita al largo dell’isola caraibica di Curaçao.
Una stazione di ricerca subacquea disegnata dal designer svizzero Yves Behar e commissionata dall’organizzazione no-profit Fabien Cousteau (in questo modo Fabien continua la tradizione del nonno Jaques-Yves).
Un laboratorio di ricerca subacquea volto a far progredire la nostra comprensione dei processi oceanici e di come essi influiscono sulle nostre vite e sul nostro clima, messo a disposizione di scienziati e accademici di tutto il mondo.
Proteus avrà una propria serra per consentire agli scienziati di coltivare il proprio cibo a 18 metri sotto il mare. Fino a 12 ricercatori e acquanauti (scienziati che rimangono sott’acqua respirando aria pressurizzata per oltre 24 ore) alla volta potranno vivere dentro la stazione. Proteus sarà alimentata da energia rinnovabile. L’habitat utilizzerà energia eolica, solare e Ocean Thermal Energy Conversion (OTEC), ovvero un processo che produce elettricità utilizzando la differenza di temperatura tra l’acqua calda in superficie e l’acqua fredda dell’oceano profondo.
Sulla scia di queste iniziative e con l’obiettivo di porre il livello della sfida ancora più in alto dobbiamo anche registrare il progetto DEEP, della Società Deep Research Labs, che si pone l’ambizioso obiettivo di “Make humans aquatic” immaginando negli oceani le nuove forme di espansione umana che alcuni hanno visto finora tra le stelle.
Secondo la Società gli oceani si trovano al centro di numerose sfide generazionale che il mondo sta affrontando, ma offrono anche opportunità finora sconosciute. Essi influenzano il clima e noi, ma il loro ecosistema oceani é in gran parte sconosciuto.
Nella proposta dei promotori DEEP rappresenterà un nuovo passo anche nella ricerca di nuovi equipaggiamenti abilitando la nostra specie a vivere, lavorare e abitare gli spazi sottomarini.
Inizialmente la struttura consentirà ai ricercatori di vivere a profondità fino a 200m e fino a 28 giorni consecutivi. Ciò consentirà un accesso continuo alle piattaforme continentali, al limite della zona epipelagica o della luce, la zona all’interno della quale si stima abitino il 90% delle forme di vita.
La possibilità di esplorare in maniera completa queste fasce oceaniche invece di operare tramite rapide incursioni dalla superficie rappresenterebbe un cambiamento epocale del modo di osservare, controllare e comprendere gli oceani.
Il perché di tutto ciò credo sia espresso magistralmente dalla NOAA che alla domanda Why Ocean Exploration matters?
Risponde
- Most of our ocean is unexplored
- The deep ocean impacts our very survival, yet remains poorly understood
- Wise management of ocean resources is critical, but we can’t manage what we don’t know
- Ocean exploration delivers knowledge, tools and technology needed to respond when disaster strikes
- Our planet is not a static place
- Despite its importance, there aren’t many people out there exploring our ocean