La qualità e la caratterizzazione dell’offerta è la chiave di svolta su cui puntano gli ITS: questo emerge nel primo rapporto Censis/CNOS-FAP “Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali” presentato il 20 marzo 2014 Roma.
Uno spaccato “vissuto” che ha scelto e raccontato l’esperienza di 6 centri di formazione post diploma biennali in Italia: il Malignani a Udine specializzato in meccanica per l’aeronautica, l’ITS Lanciano (Chieti) per la meccanica nel settore automotive, il Giovanni Caboto di Gaeta e il Giovanni Giorgi di Verona per il settore della mobilità sostenibile, per l’area delle tecnologie informatiche per la comunicazione il Fistic di Cesena e l’Angelo Rizzoli di Milano.
“Il nostro obiettivo era effettuare un approfondimento qualitativo – sottolinea Claudia Donati, curatrice della ricerca per la Fondazione Censis – i numeri di corsi attivati e iscritti sono già in nostro possesso, ma il cosa accadrà ora, con i primi diplomati nel 2013, e come proseguire su una strada tutta nuova, è da chiarire. Ci serve il polso della situazione di chi lavora ogni giorno per indirizzare verso nuove prospettive i 65 ITS italiani. Abbiamo posto quesiti molto concreti e sondato le procedure che ognuno si è dato per essere efficiente e favorire l’inserimento occupazionale dei giovani”.
Infatti gli ITS sono per certi aspetti una novità: sono Fondazioni, che fanno seguito agli input di Industria 2015, di cui fanno parte almeno un istituto scolastico, un ente di Formazione Professionale, una realtà del mondo accademico o della ricerca e un rappresentante del mondo delle imprese. Quindi poli multi sfaccettati con obiettivo di formare figure specializzate, funzionali alle esigenze del territorio. Un obiettivo non facile. Ampliare l’offerta formativa è strategico, ma assai difficile da calibrare tra regole nazionali e specifiche di ogni singolo territorio e, come sottolineano gli intervistati, il poco tempo per partire con la sperimentazione e la scarsa possibilità di comunicare, sia tra di loro che in rete, non ha facilitato.
“Ci interessava capire le esigenze, valutare le sperimentazioni, per comprendere come indirizzare il lavoro di questi centri – puntualizza il Presidente del CNOS-FAP Mario Tonini – per questo abbiamo chiesto a Censis un supporto per realizzare questa indagine. Oltretutto la metà dei Poli scelti per lo studio appartengono alla nostra rete formativa: è evidente che questa nuova modalità può essere efficiente solo se ha i mezzi e la libertà di personalizzare.”
Dalle interviste emerge come esigenza comune la ricerca di un’identità chiara che sia nettamente diversa da un percorso scolastico o universitario, molto più pratico, contingente alla domanda occupazionale e per questo molto legata a livello anche operativo agli indirizzi dei partner cofondatori. Qui la chiave: l’anello forte, ma in alcuni casi anche quello debole, è la scelta della presenza imprenditoriale del gruppo. In alcuni casi, è stata decisiva, perché ha agito da collante, da traino con le imprese e si è fatta carico dell’interlocuzione e della ricerca di fondi per attivare più iniziative formative, aumentare il livello delle docenze, rende possibili stage e specializzazioni extra anche all’estero.
“È centrale il ruolo dell’impresa nella formazione – prosegue Tonini – sia per la visione concreta delle necessità del mondo del lavoro, sia perché hanno maggior facilità nel reperimento di finanziamenti privati, sempre più necessari alla formazione, dato che le sole risorse del Miur non permettono di implementare le attività, inoltre gli stessi centri in qualità di Fondazioni, hanno una gestione più flessibile e rapida sull’impiego dei finanziamenti privati. Anche la rapidità d’azione del mondo della formazione, in questo modo fa un passo avanti e meglio si adatta a seguire le esigenze del mondo del lavoro in continuo cambiamento.”
D’altronde che questo indirizzo formativo sia una strada importante lo confermano gli stessi dati di monitoraggio di Miur-Indire rilevati lo scorso ottobre che osservano risultati occupazionali interessanti soprattutto in alcuni settori: gli ITS dell’area tecnologica “mobilità sostenibile” (79,3%) seguiti da quelli dell’area “efficienza energetica”, con il 69,6% di occupati e da quelli dell’area “nuove tecnologie per il Made in Italy – sistema meccanica” (65,2%).
Resta sul tavolo della discussione un altro elemento: le aree con vocazione e intraprendenza imprenditoriale più sviluppata, hanno, di fatto, più facilità nel metter in moto reti virtuose e aumentare le performance degli ITS, mentre nelle aree in difficoltà rischiano di restare ai nastri di partenza.