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Intervista a Pietro Vuolo: quando la cura e il Diritto si applicano al mare a tutela della sua biodiversità

Del 19 Settembre 2024

della Direttrice Roberta Busatto

Parliamo di Aree Marine Protette con Pietro Vuolo, dottore di ricerca dell’Università di Salerno in Diritto Internazionale del Mare, che si è occupato di un progetto di ricerca relativo alla disciplina della Aree Marine Protette nei diversi livelli ordinamentali quali strumenti di tutela della biodiversità.

Qual è stato il motivo della scelta del suo progetto di ricerca?

“Viste le mie origini – io sono di Cetara, in costiera amalfitana -, il mare fa parte di me da sempre.

Negli anni ho vissuto una vera e propria evoluzione legata al mio rapporto con il mare, passando dalla passione per la pesca sviluppata sin dall’infanzia, fino ad arrivare in tempi più recenti a sviluppare una forte sensibilità alle tematiche ambientali, che mi ha portato ad occupare ruoli anche nazionali in associazioni ambientaliste che si occupano di tutela del mare.

Un altro aspetto che ha indubbiamente rivestito un ruolo fondamentale verso questa scelta è la mia formazione giuridica: ho inteso applicare la competenza giuridica alle tematiche del mare. Mi sono reso conto che, spesso, anche a livello normativo vengono prese decisioni senza una diretta conoscenza di quelli che sono poi gli aspetti pratici della vita vissuta in mare.

Il senso del mio lavoro è di cercare un equilibrio tra aspetti prettamente giuridici, che riguardano il diritto internazionale del mare, la pianificazione degli spazi marittimi, la strategia marittima in generale rispetto alla realizzazione concreta delle attività in mare, sia intese in termini di pesca che di attività legate alla blu economy”.

Perché si interessa di Aree Marine Protette?

“È ormai pressoché unanime la considerazione che le Aree Marine Protette rappresentano lo strumento migliore di tutela della biodiversità e non a caso sia la normativa internazionale che quella più specificamente europea, puntano alla tutela della biodiversità proprio attraverso l’implementazione della rete di aree marine protette.

Di recente, nel giugno 2023, è stato siglato un accordo a New York per la costituzione di Aree Marine Protette addirittura in alto mare, ossia in quella parte di mare che non rientra nella competenza e nella giurisdizione esclusiva di un singolo Stato ma che appartiene a tutti gli Stati. Persino quindi in queste aree si guarda alla realizzazione di Aree Marine Protette quali strumenti più idonei alla realizzazione degli obiettivi di efficace tutela della biodiversità, valorizzazione del territorio, di sfruttamento razionale delle risorse.

Si parla di Strategia 30/30, cioè si punta a garantire la protezione del mare per almeno il 30 %. Inoltre, di questo 30 % si punta ad ottenere una protezione effettiva di almeno il 10 %, questo perché sebbene vi sia stata la definizione e la costituzione di Aree Marine Protette, in realtà si tratta spesso di Paper Park ossia di parchi presenti solo “sulla carta”, in via teorica, che non riescono a garantire un’azione efficace e concreta”.

Sostenibilità dell’ambiente marino e sviluppo dell’Economia del Mare: un binomio possibile?

“Negli ultimi anni è sempre più evidente come l’interpretazione e l’applicazione di questo binomio sia mutata: la dottrina internazionale concorda nel ritenere che l’economia debba affiancarsi necessariamente all’ecologia.

La sostenibilità ambientale rappresenta un obiettivo primario per l’umanità, per il suo stesso sostentamento: basti pensare al ruolo che il mare svolge, considerando che più del 50 % dell’ossigeno che respiriamo proviene dagli organismi vegetali che vivono negli oceani. Un respiro su due proviene dal mare. I coralli, le alghe e le piante marine, come la Posidonia Oceanica, formano gli habitat naturali che proteggono i pesci e le coste e producono ossigeno, rimuovendo l’anidride carbonica dall’atmosfera. Inoltre, il mare contribuisce alla mitigazione del clima a fronte dei repentini cambiamenti climatici.

Al tempo stesso, ed in particolare nell’ambito delle A.M.P., si sta assistendo ad un notevole sviluppo di attività commerciali che pur perseguendo la strategia della sostenibilità, generano ricchezza. Le A.M.P. in particolare diventano strumento di sviluppo del territorio e per questo occorre una revisione normativa, anche a livello nazionale, che ne renda più concreta l’azione.

Punta Campanella

Si sta sviluppando un notevole incremento di attività commerciali strettamente legate alla loro salvaguardia. In quella di Punta Campanella (nella foto qui sopra), soltanto per fare un esempio, si organizzano escursioni in barca specifiche ed a cura di biologi che mirano a mostrare la bellezza dei luoghi, ma anche a far conoscere la specifica biodiversità. Ed ancora, il turismo va in direzione di garantire agli ospiti esperienze specifiche, “experience” di compartecipazione: ed ecco nascere campagne di assistenza alla nidificazione delle tartarughe, di avvistamento cetacei, di pulizia delle spiagge e dei fondali.

Probabilmente la concezione antica del mare come espressione di risorse illimitate è cambiata, si è compreso sia come queste risorse siano esposte a rischi continui che ne compromettono la stessa conservazione, come nel caso della pesca industriale e degli stock in esaurimento, sia quanto queste stesse risorse possano contribuire allo sviluppo dell’economia e pertanto vanno tutelate”.

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Cosa pensa si debba fare?

“Ritengo sia essenziale sviluppare una consapevolezza delle Aree Marine Protette a livello territoriale, attraverso, ad esempio, campagne di sensibilizzazione nelle scuole. Non è più ammissibile che i cittadini non siano a conoscenza della presenza di una A.M.P. sul proprio territorio. La collaborazione, l’equilibrio tra i diversi azionisti del territorio rappresenta la soluzione giusta per garantire una efficace azione di tutela della biodiversità e di sviluppo di attività, anche turistiche, ad essa collegate.

Per questo motivo prima di tutto occorre consapevolezza e conoscenza: è sorprendente quanto poco siano conosciute le Aree Marine Protette, in particolare anche in rapporto ai Parchi naturali”.

Oggi cosa è cambiato?

“Fino a qualche anno fa si pensava a realizzare il maggior numero di Aree Marine Protette, ma purtroppo sebbene a livello nazionale siano passati circa quarant’anni dal disegno complessivo iniziale, soltanto la metà di quelle previste sono state realizzate.

Oggi si è compreso come non sia più sufficiente aumentare il numero delle aree protette, ma sia necessario soprattutto creare dei corridoi tra queste, in particolare per la tutela delle specie migratorie, ma anche nell’ottica di un confronto costruttivo tra le A.M.P. che porti a condividere dati scientifici e best practices“.

Cosa si aspetta per il futuro delle A.M.P.?

“Riscontro una coerenza nelle linee di indirizzo programmatico che vengono continuamente ribadite a livello internazionale ed oggi anche nazionale, per via della costituzione a livello italiano del Ministero del Mare e poi ancora del Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare (CIPOM), che nello scorso anno ha varato tra l’altro anche il Piano del Mare, che si occupa anche di Aree Marine Protette. Per questo, sebbene il processo sia ancora lungo, in realtà per la direzione sembra quella giusta.

Un’ultima riflessione: quando si parla di Aree Marine Protette, gli addetti ai lavori, mi riferisco in particolar modo al settore della pesca, pensano immediatamente a norme che in un certo qual modo possono operare una restrizione per le loro attività.

In realtà, diversi studi scientifici dimostrano che ad un periodo iniziale di chiusura delle attività di pesca corrisponde, a distanza di pochi anni, un incremento notevole delle biomasse, dei pesci quindi, non soltanto nell’area marina in cui è avvenuta la restrizione della pesca (no take zone), ma anche nelle zone adiacenti, esterne all’area marina protetta, fenomeno questo definito dello spillover ed oggi ampiamente conosciuto e studiato”.

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